Commento al Vangelo di fra Vincenzo Ippolito ofm
XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno A) – 9 luglio 2023
Dal Vangelo secondo Matteo (11,25)
“Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli”
Il modo migliore per leggere il Vangelo è quello di abitare il silenzio, lasciando che la parola della Scrittura scenda come balsamo nel cuore e doni all’animo la pace. Questo soprattutto quando gli evangelisti, mettendo da parte il ritmo intenso della vita pubblica del signore, ci trasmettono alcuni momenti nei quali il Maestro apre il mistero della sua intimità con il Padre e ci permette di ascoltare lo sgorgare dalla sorgente del suo cuore il gorgoglio del suo rivolgersi da Figlio unigenito al Padre suo. Potremo credere che Gesù si estranei dal reale, che fugga dalla vita caotica del suo annunciare il regno alle folle. Tutt’altro è ciò che vediamo. Non ha bisogno di scappare Colui che è sempre con il Padre, non teme di perdere la tranquillità Colui che è la pace per ogni creatura. Il rimprovero per le città di Corazim e di Betsaida, che non hanno risposto con la conversione al suo annuncio, non diventa per Gesù occasione di lamento ed esperienza di sconfitta che lo prostra, ma occasiona epe riconoscere come il Padre realizzi la sua volontà e porti avanti misteriosamente il suo disegno di salvezza. Leggere nella storia la volontà del Padre è ciò che Gesù ci insegna a fare, scorgere nei fatti della nostra vita, negli sconvolgimenti imprevisti e nelle disfatte non attese la parola di salvezza e il modo nuovo ed imprevisto di realizzare qualcosa di bello e grande la lezione da apprendere. E se “tutto concorre al bene” (Rm 8,28) questo è vero prima di tutto per Gesù. Non si scoraggia e neppure si lascia prendere la mano dal senso di fallimento, perché, totalmente povero, non si appropria della calla di quanti non accolgono la sua parola di vita. Non si chiude nel suo quatier generale a Cafarnao per studiare le nuove mosse da attuare, ma si consegna al Padre, rimette a Lui la sua causa, si affida al suo cuore, si abbandona la suo abraccio. Ciò che sta capitando è una conferma della strada che ha scelto, la via dell’umiltà e della piccolezza, la scelta dell’ultimo posto e dell’apparente insignificanza. Gesù lo comprende bene, ma siamo noi che ancora fatichiamo a capire la legge del contrappasso del regno di Cristo, a deciderci una buona volta a contemplare nella sapienza della croce la forza sconvolgente del Vangelo che è potenza di Dio nella debolezza delle persone che lo annunciano e dei mezzi che lo trasmettono. Quanta fatica a convertire una mente che non vuol cambiare ed un cuore che continua a ribellarsi alla forza umanizzante del Vangelo. Tanti credono che seguire Gesù significhi rinnegare tutto della vita, ignorando che il discepolo rinuncia a ciò che della vita non è vita, a quanto il demonio ci fa credere che sia il nocciolo dell’esistenza e che, invece, non è che la fogli dell’albero della vita, destinata a cadere.
Solo i piccoli accolgono i misteri del regno, perché Dio Padre sa che i sapienti e gli intelligenti credono di bastare a se stessi, di fidano di quanto pensano, costruiscono la vita su ciò che li fa sentire realizzati e stimati. I semplici del Vangelo, invece, scoprono che Dio li ama così come sono, pronto a soccorrerli nelle loro necessità, a farsi incontro nelle difficoltà, a prendersi carico di quanto vivono, di preoccuparsi di ciò che subiscono ingiustamente. Il dire di Gesù “Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza” (Mt 11,26) mostra che ancora una volta il Figlio di Dio fatto uomo sposa il volere del Padre, si schiera dalla parte dei semplici, rinnova il suo essere Salvatore degli umili, Braccio potente dei deboli, seguendo la strada indicatagli dal Padre nell’umiltà dell’incarnazione.
Quanto ci fa paura la via della piccolezza e dell’umiltà! Ci sembra di perdere il controllo di noi stessi, se si consegniamo a Dio e agli altri. è come rassicurante seguire il copione che ci siamo prefissi, che ignoriamo quanto esso ci condanni ad una vita priva dei colori della gioia e della spensieratezza. Dipendere ci sembra assurdo, quando abbiamo la forza di prevalere, alzare la voce per far valere i nostri diritti ci appare l’unica cosa sensata da fare, quando siamo calpestati. Essere piccoli non vuol dire essere degli sprovveduti, ma consegnare a Dio la propria causa, rimettere nelle sua mani le proprie lotte, consegnarli le battaglie intraprese, affidargli, con piena fiducia e totale abbandono, le guerre subite. La persona piccola ed umile sa dialogare, vive con schiettezza le relazioni, consapevole della propria debolezza, non ci crede un eroe, lascia che Dio lo salvi, lo sostenga nella lotta e lo difenda nel pericolo. Piccolo e semplice, umile e povero è il cuore di Cristo, alla cui immagine siamo stati creati, modello di quanto lo Spirito opera in noi quanto lo lasciamo operare senza opporre resistenze. Piccolezza è la virtù di chi permette allo Spirito di Dio di lavorare in lui, guidandolo, attraverso le battaglie della vita, verso la terra promessa del regno.