Commento al Vangelo di fra Vincenzo Ippolito ofm
II Domenica di Pasqua (Anno A) – 16 aprile 2023
Otto giorni venne Gesù
19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”. 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. 22Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”.
24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore!”. Ma egli disse loro: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo”.
26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: “Pace a voi!”. 27Poi disse a Tommaso: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!”. 28Gli rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”. 29Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”.
30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
La Chiesa ci offre la possibilità di ascoltare, nella liturgia di un’intera settimana, i brano evangelici che narrano le apparizioni del Risorto. Oggi, ottava di Pasqua, sostiamo nel cenacolo e, leggendo il Vangelo, che narra quanto accede la sera del giorno della resurrezione e dopo un’intera settimana (cf. Gv 20,19-31) ci lasciamo incontrare dal Signore Gesù, che visita la sua comunità, la guida a ricevere il dono dello Spirito Santo, per aprirsi alla missione, guarendo coloro che, al pari di Tommaso, fanno più fatica ad interiorizzare la grazia della sua vita nuova. Il Maestro di Nazaret guida i suoi discepoli sia comunitariamente sia anche personalmente a lasciarsi investire dalla sua potenza di vita. È la doppia dinamica che scandisce la narrazione evangelica odierna, come anche la nostra vita di fede, in quella circolarità tra dimensione personale e vissuto comunitario che ci rende corpo di Cristo, sua Chiesa, presenza sua nel mondo.
La grazia dell’essere un cuor solo ed un’anima sola, per la fede e la carità, è quanto esprime san Luca nel brano offertoci come Prima Lettura (cf. At 2,42-47). La Chiesa che vive intensamente il dono dello Spirito del Risorto sperimenta come segno naturale della propria appartenenza al Signore la novità di un’esistenza dove l’ordinario è straordinario. Tutto è permeato dalla letizia dell’essere in Cristo creature nuove, perfino il prendere cibo diventa un’occasione per rendere grazie a Dio e vivere in comunione con i fratelli. Per questo, con il Salmo responsoriale (Sal 117), cantiamo la gioia della salvezza che il Signore ci ha donato e l’esperienza di un amore che è per sempre e riversa in noi la gioia della vita nuova del Risorto. Anche san Pietro, nella Seconda Lettura (cf. 1Pt 1,3-9), all’inizio della sua prima Epistola, benedice il Signore per i suoi doni, primo tra tutti la rigenerazione, frutto della misericordia che Cristo ci usa nel mistero della sua Pasqua, forza che sostiene la vita dei credenti nei momenti di difficoltà e di prova.
Fare Pasqua con Cristo: è questo il senso di questo tempo santo, nel quale le nostre tenebre ed i nostri dubbi, al pari di quelli di Tommaso, sono fugati dalla presenza del Signore risorto. È di fondamentale importanza lasciarsi raggiungere dal Signore, perché solo con la sua presenza di salvezza e guarigione diventa in noi operante, per opera dello Spirito Santo.
Solo Cristo fa miracoli
La scorsa domenica abbiamo letto l’inizio del capitolo ventesimo del quarto Vangelo (cf. Gv 20,1-9), con il ritrovamento da parte della Maddalena della tomba vuota ed il suo annuncio del presunto trafugamento, che spinge Pietro ed il discepolo amato alla corsa alla tomba di Gesù, per rendersi conto dell’accaduto. Il prosieguo ci è stato poi offerto lo scorso martedì, nella liturgia feriale (cf. Gv 20,10-18): Maria di Magdala incontra il Risorto, riconoscendolo dall’essere stata chiamata per nome e annuncia poi ai discepoli quanto le è stato affidato dal risorto. Oggi concludendo il capitolo, ci rendiamo conto che l’intero giorno di Pasqua è permeato dalla luce della signoria di Cristo, un pressante invito perché tutti entrino nel suo regno, dove si incontrano la misericordia e la giustizia, in Cristo, crocifisso e risorto per noi. La comunità, disorientata per la morte del Maestro, ha bisogno di passare alla vita della fede e alla speranza dell’amore, ma questo è solo frutto della potenza del Risorto. Solo Lui può cambiare in letizia l’abito del lutto e della mestizia; solo la sua mano può risollevare il cuore di quanti sono nella tenebra e non riescono a vedere la potenza della sua luce. Analizzando bene il brano evangelico, notiamo due passaggi significativi, nelle prime battute della pericope odierna, il primo riguarda le età della vita ed i momenti della nostra storia personale: Gesù sfrutta ogni tempo per rivelarsi. Signore del tempo e della storia, sa i momenti più adeguati per donarsi e dirsi, tempi opportuni perché il cuore si infiammi e ritrovi la serenità e la pace che è Cristo. Non tutti i tempi sono uguali e Dio sa attendere i momenti migliori in cui rivelare la sua gloria e aprire i nostri occhi alla contemplazione del suo volto. Può anche essere sera, il giorno al tramonto, ma per Cristo ogni ora è propizia per chiamarci, come nel caso degli operai reclutati nell’ultima ora del giorno. Non siamo noi a stabilire i tempi nei quali il Signore ci visita e ci mostra lo splendore del suo corpo, passato attraverso al morte; non siamo noi a decidere quando le nostre croci fioriranno in vita. Tutto dipende da Dio, dalla sua capacità di vedere il momento giusto, quello in cui siamo capaci di accogliere il suo rivelarsi, per lasciarci investire dalla potenza della sua luce. Proprio quando sembra tutto finito – la sera dice l’impossibilità dell’opera umana – ed il cuore stenta a credere alla voce della Maddalena, che ha visto il Signore risorto, allora il Signore si mostra. A noi spetta attendere la sua visita e credere che sulla nostra barca, nelle tempeste della vita, c’è Lui, che si prende a cuore la sorte dei suoi figli e veglia come solo Lui vuole e sa fare sulle sorti dei suoi eletti.
Il secondo aspetto messo in luce dall’Evangelista è poi quello della guarigione: ci sono situazioni di chiusura e di paura, di difficoltà relazionali e di incapacità personali, quali la paura e la diffidenza, che, come dei massi sul nostro cuore, ci impediscono di essere liberi e di amare. È questa la situazione dei discepoli nel cenacolo, la sera del giorno di Pasqua. Alcuni hanno visto i segni della vita risorta – Maria di Magdala ed il discepolo amato – il cuore di altri è ancora nel buoi – si pensi a Pietro, che ha sì visto la tomba vuota e ancora non crede in Cristo risorto – ma si è ancora nella chiusura, ben espressa dall’Evangelista in quelle porte chiuse, sprangate, che impediscono di avere rapporti con l’esterno, figura delle catene del cuore che ostacolano anche di essere, all’interno, fratelli gli uni per gli altri. I discepoli sono compagni di sventura, naufraghi sulla medesima barca, vivono la stessa tempesta e sembra che si lascino portare dalla corrente della paura. Non sentono l’appartenenza l’uno all’altro, né ricordano di essere stati tutti chiamati a seguire Gesù. La voce del Maestro è solo un lontano ricordo, che non traghetta il cuore oltre la paura di fare la sua stessa fine. Temono i Giudei, fuori dal recinto del cenacolo, che sembra proteggerli da attacchi che credono quasi imminenti. Quali e quante sono le chiusure del nostro cuore? Quale la diffidenza dell’altro che consuma l’anima, la paura che blocca la mente e la fa continuamente girare su se stessa? Il timore non è razionale, perché la nostra mente, fomentata dal demonio, pensa le cose più strane, immagina situazioni che non esistono. La fantasia ci fa credere che le nostre paure siano reali, invece, nel caso dei discepoli, non hanno nessuna prova della violenza eventuale da parte dei nemici del Maestro. A loro interessava Gesù, non altri e speravano che la sua morte avesse come conseguenza la dispersione dei suoi seguaci. Solo Gesù può vincere le nostre paure: solo al potenza del Risorto può entrare nelle nostre durezze e portare la liberazione e la vita nuova della sua grazia. Ci sono situazioni che sono impossibili da sbrogliare, relazioni che appaiono difficili da risolvere. Abbiamo bisogno che Cristo entri lì dove c’è l’odio e la morte del cuore, la difficoltà ad essere fratelli ed i preconcetti che impediscono relazioni serene e costruttive. Abbiamo bisogno della luce del risorto, perché noi non possiamo far nulla senza di Lui. Come la pietra del sepolcro venne ribaltata dall’angelo, il mattino di Pasqua, così la nostre porte possono essere attraversate solo dalla potenza dell’amore del risorto. Solo l’amore ci guarisce, solo l’amore di Cristo passa attraverso le porte e ci guarisce, solo al sua tenerezza ci disarma, solo il suo affetto spazza lontano le nubi scure del timore. Solo Cristo fa miracoli, noi possiamo solo attenderli, con fede ed accogliergli con totale docilità.
Amati per amare, perdonati per perdonare
Stupisce nei Vangeli notare che il Risorto non metta l’accento sulla colpa dei discepoli – solo Marco parlerà del rimprovero di Gesù ai suoi per non aver creduto alle parole dei testimoni, ma anche lì tutto lascia il posto alla fiducia che Egli nutre per loro, inviandoli in missione – e gli Evangelisti non parlano del perdono accordato agli apostoli. Eppure la visita del Risorto avrà di certo, insieme alla gioia, creato nei cuori difficoltà per la defezione sperimentata ed il tradimento vissuto. Gesù guarda avanti, perché è tutto misericordia, solo potenza di perdono e di amore infinito. Non serve porre l’accento sulle cadute, ma sanare le situazioni e dare tempo, perché la misericordia offra, con il tempo, la possibilità di rivedere situazioni non vissute nel giusto modo. Talvolta è bene ritornare sull’accaduto – anche Gesù fa questo con i suoi più volte, correggendo e mostrando le falle dei loro caratteri – ma altre volte lascia cadere, perché sa che l’amore guarisce e risana, il tempo renderà la mente consapevole degli errori compiuti ed il cuore vivrà la compunzione e la mestizia dell’accaduto, quando la consapevolezza sarà vera e profonda. Il Risorto perdona e basta e nel momento in cui invia i discepoli a perdonare, indirettamente li fa sentire perdonati, perché la missione sta nel partecipare agli altri ciò che essi per primi stanno sperimentando dalla visita del Signore. Misericordia vuol dire essere raggiunti dall’amore che non rimprovera né accusa; misericordia vuol dire sanare il cuore dell’altro dal timore e l’angoscia di essere privo di una vera identità; misericordia vuol dire salvare il fratello dalla deriva di sentirsi solo, abbandonato da Dio, nel mare aperto in tempesta, senza un porto sicuro a cui tendere, una mano tesa che ti afferra, in mezzo ai flutti. Quanto abbiamo bisogno di questa misericordia che “Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”(1Cor 13,7), un amore che toglie la tara dell’errore, liberandoci dal ricordo della colpa e dal riscatto dovuto, nel ristabilire la giustizia. La misericordia di Cristo è di per se stessa riparazione, nulla chiede, se non di essere accolta, nulla pretende ed attende, neppure l’essere ricambiata. L’amore di Cristo è l’acqua che si riversa nei terreni del cuore nostro, irrorandoli, vivificandone il terreno e permettendo ai germi di bene che già contiene di far frutto. Non avrebbe senso inviare gli apostoli a seminare il perdono, se non avesse solo per primi fatto l’esperienza della misericordia. La resurrezione di Cristo è l’esperienza che Egli ha fatto, per la potenza dell’amore del Padre. Accogliendo l’obbedienza del Figlio, consegnato all’abbraccio della croce, riversa in Lui la potenza del suo amore che è vita vivificante, amore trasformante, grazia che sconfigge e vince definitivamente la morte. In tal modo, dalle atrocità della crocifissione, che ah segnato il suo corpo, decretandone la fine, Gesù passa ad una vita nuova. Allo stesso modo, Cristo risorto concede ai suoi quella misericordia che abita la morte del cuore e li vivifica dall’interno. Mentre in Gesù si parla di puro amore del Padre, per noi è invece amore di misericordia che perdona, perché Egli è giusto e noi colpevoli, Egli innocente noi peccatori, Egli obbediente in tutto, noi totalmente ribelli. È l’amore di misericordia che ci trasforma ed il soffio di Gesù sui discepoli dice proprio l’intenzione di Gesù di partecipare loro la grazia della sua stessa vita. Da questo si comprende al missione: donare gratuitamente agli altri l’esperienza di una more di misericordia che li ha raggiunti con eguale gratuità, li vivifica, senza nessun merito da parte loro e li rende creature nuove, perché è lo Spirito della vita del Risorto. I discepoli sono amati per amare, perdonati per perdonare sia nella dimensione sacramentale – rimettere i peccati – sia in quella esistenziale, la misericordia ed il perdono sono lo stile della vita di Gesù risorto che, passato ai discepoli, è Spirito Santo che vivifica della stessa potenza nuova del Signore. È la vita che deve grondare di misericordia, il nostro cuore essere irrorato dalla potenza del perdono: solo così si può essere discepoli e missionari dei Gesù risorto. La forza della nostra missione sta proprio nell’esperienza del perdono. Il discepolo, inviato da Cristo, dona ciò che ha ricevuto esistenzialmente, ciò significa che se non ha sperimentato il perdono, potrà parlare della misericordia, non avere lo stesso stile di Gesù, i suoi gesti, i suoi sentimenti, la sua vita. L’amore è una scelta di vita, un’esigenza del cuore amato, che diventa amante, perché abitato dalla potenza dello Spirito di Cristo Signore. Solo chi si sente amato, può amare; solo chi avverte nel cuore lo stesso fuoco d’amore di Gesù Risorto, che è amore del Padre, riversato in Lui, potrà vivere l’ansia del Vangelo ed il desiderio di comunicare quell’amore che, raggiungendo gli altri, li investe della vita nuova di Dio.
Attraverso le nostre ferite, Dio ama e perdona
Giovanni, nella prima parte del brano odierno ci dona di comprendere il senso della missione affidata da Gesù ai discepoli. Quel suo inviarli a perdonare dice tanto, molto di più rispetto a quello che possiamo superficialmente comprendere. È chiaro che solo chi si sente perdonato, può seminare il perdono di Dio, come è chiaro che chi non avverte di essere un povero peccatore, troverà sempre la pietra della superbia ad impedire l’uscita verso i fratelli, con parole e gesti di amore e compassione. Se Gesù mostra le sue piaghe questo significa che proprio le nostre ferite sono i fenditoi della misericordia, le sorgenti zampillanti del perdono. Il Risorto offre una pedagogia del perdono, che diventa stile della Chiesa e del singolo credente. C’è un solo modo per donare perdono e questo è mostrare le proprie piaghe, l’esperienza di una vita trapassata dall’amore, permeata dall’affetto di Dio, dalla grazia del suo amore di elezione. In tal modo, comprendiamo che Gesù dona non solo il contenuto di ciò che, i parole ed opere, il discepolo deve donare, ma anche la modalità con cui offrire la vita di Dio. Quanto abbiamo bisogno che non è la nostra perfezione morale a dire e donare Dio, ma l’esperienza vivificante del suo amore, che ci ha salvati dalla deriva del peccato, dalla morte causata dal rimorso, dalla lontana da Dio, che imponiamo a noi stessi, come scotto della colpa, che Dio ha già cancellato. Sono le nostre piaghe risorte, come quelle di Gesù che dicono e donano la nostra esperienza di fede, il nostro incontro con il Risorto, la potenza della misericordia vissuta, la grazia del perdono a noi accordato. Seminare il perdono e la misericordia vuol dire lasciare che lo Spirito del Risorto, come in Lui, passi attraverso di noi, le nostre ferite, le nostre piaghe. Si tratta di un cammino di guarigione e di verità, di autenticità e di umiltà. Come perdonare se ci si sente perfetti? Non si condividerà mai la notte del cuore del peccatore a cui si è inviati e non si capirà, per esperienza la gratuità dell’amore di cui si è annunciatori e dispensatori. Le nostre ferite devono fiorire per la potenza dello spirito, che Gesù risorto alita su di noi, come creazione nuova, possibilità insperata, dono gratuitamente concesso e mai meritato. Guardare le piaghe di Gesù significa vedere ciò che lo Spirito può operare in noi. Solo da peccatori guariti, potremo aiutare i fratelli a lasciarsi raggiungere dalla potenza di vita dello Spirito, che fa nuove tutte le cose.