Commento al Vangelo di fra Vincenzo Ippolito ofm
I Domenica di Quaresima (Anno A) – 26 febbraio 2023
Gesù digiuna per quaranta giorni nel deserto ed è tentato.
Dal libro della Genesi (2,7-9. 3,1-7)
7Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente.
8Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. 9Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male.
3,1 Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla donna: “È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino”?”. 2Rispose la donna al serpente: “Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, 3ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete””. 4Ma il serpente disse alla donna: “Non morirete affatto! 5Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male”. 6Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. 7Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.
Seguendo il Signore, entriamo nell’agone quaresimale, sostenuti dalla grazia dello Spirito Santo. Siamo portati a credere di solito che siamo noi a condividere con Gesù il tempo del deserto, quanto, invece, è il contrario. Il Figlio di Dio, facendosi uomo, ha preso tutto di noi, insegnandoci a vivere secondo Dio, sfuggendo il peccato, che disorienta la nostra vita e ci allontana dal nostro vero bene. Con Cristo, il tempo del deserto fiorisce e chi guarda Lui non teme di attraversare quel luogo impervio, perché sente la forza dello Spirito, che interiormente lo sostiene. Si tratta di un mirabile scambio: noi viviamo il tempo della prova con Gesù, perché Egli ha fatto sua ogni situazione della nostra storia, perfino la morte. La Quaresima ha il gusto e la bellezza della condivisione che Dio vive con noi e della gioia, da parte nostra, di sapere di non essere mai soli, perché sostenuti, nella valle oscura della difficoltà, dalla mano del buon Pastore, dal suo bastone, che dona sicurezza. Le letture bibliche ci aiutano nel cammino, portandoci a mettere a frutto l’amicizia con Dio, mediante Cristo, per combattere il male, con la forza del Signore risorto, e vivere nella libertà dei figli del Padre celeste. Le dinamiche che la Scrittura ci propone oggi sono presenti nelle atrocità della guerra e nella violenza che dovunque serpeggia. Ci accostiamo alla Parola di Dio con l’umiltà, che nasce dal riconoscere che abbiamo bisogno della sua luce per riconoscere i pericoli delle diverse tentazioni che si affacciano nella nostra vita e saperle combattere con la forza che viene da Dio.
La Prima Lettura lega il secondo racconto della creazione dell’uomo (cf. Gen 2,7-9) alla narrazione del peccato di Adamo ed Eva (cf. Gen 3,1-7), mostrando come le potenzialità date da Dio all’uomo, con il suo alito di vita, vanno perdute, quando si prende la via della disobbedienza e ci si allontana dal nostro autentico bene, sotto la voce del tentatore. Il Salmo responsoriale, parte della preghiera di Davide, dopo il peccato con Betsabea (cf. Sal 50), diventa sulle labbra della chiesa il grido di aiuto che sale al Cielo, perché si mostra pietoso e compassionevole, davanti alle nostre colpe. La Seconda Lettura ci offre il confronto tra Adamo e Cristo, che Paolo presenta nell’Epistola ai Romani (cf. 5,12. 17-19), perché i credenti seguano il Signore, somigliandogli nell’obbedienza e nella giustizia, riconciliati con il Padre, attraverso la sua Pasqua. Il Vangelo (cf. Mt 4,1-11), narrandoci le tentazioni di Gesù, ci mostra che lo Spirito Santo può tutto, anche vincere la voce di Satana, che i progenitori non riuscirono a non assecondare, se ci si lascia condurre dalla sua dolce presenza e spingere dalle sue ispirazioni.
È necessario leggere la Scrittura contestualizzandola nella nostra vita e nella storia del mondo di oggi, attingendo da Cristo la forza per dire: è possibile vivere e superare la prova, senza lasciarsi sedurre dal potere di Satana; è possibile obbedire a Dio e trovare la propria libertà nella comunione con Lui, facendo spazio alla grazia dello Spirito; è possibile credere in un mondo nuovo e compiere il bene, perché l’umanità conosca un’era di fraternità e di pace?
Impastati di terra e di cielo
Lo sfondo antico testamentario del racconto delle tentazioni di Gesù nel deserto (cf. Mt 4,1-11) è dato da un brano tratto dal libro della Genesi. È preferibile leggere l’intero racconto (cf. Gen 2,4b-3,24), per gustare tutta la bellezza della Parola ispirata, arricchendo la lezione liturgica con l’unione di due racconti differenti – la creazione del’uomo (cf. 2,7-9) e la disobbedienza di Adamo ed Eva (cf. 3,1-7) – che riflettono le dinamiche vissute ogni giorno da ciascuno di noi. Siamo nel secondo racconto della creazione – il primo è raccolto in Gen 1,1-2,4a – dove l’autore ispirato pone la sua attenzione su aspetti differenti dell’opera creatrice di Dio, il cui volto misericordioso emerge luminoso nelle tenebre del peccato dell’uomo.
Nella prima parte del nostro brano emerge tutta la bellezza dell’opera creatrice di Dio, che differisce dal primo racconto, dove tutto è affidato alla parola creatrice (cf. Gen 1,26-27). Il nostro autore scrivendo “Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente” (v. 7) ci presenta l’immagine di un Dio vasaio, che partecipa direttamente alla creazione del composto umano, con le proprie mani. È Dio che plasma e questo sta ad indicare il rapporto diretto che si crea con l’uomo. La mano di Dio ci ha fatti, siamo stati da Lui modellati, perché, conta il salmistra, “sei tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel grembo di mia madre”. La Scrittura ritornerà più volte su questa verità fondamentale “noi siamo l’argilla e tu colui che la plasma, non abbandonare l’opera delle tue mani” chiede Isaia, mentre Geremia è invitato dal Signore a scendere nel laboratorio del vasaio per comprendere che “Come l’argilla è nelle mani del vasaio, voi siete nelle mie mani, casa d’Israele”. Esiste un rapporto strettissimo tra il nostro corpo e la mano di Dio, come anche tra la nostra interiorità e l’alito del Signore. Di polvere del suolo è fatta la sua creatura e questo mostra tutta la sua fragilità, il limite che la contraddistingue, la debolezza che la costituisce. Siamo fragili e piccoli, limitati e deboli, eppure questo nel testo di Genesi non è un dato negativo, ma la realtà bella e positiva, che scandisce nostra storia. La fragilità ci è sorella, la debolezza ci costituisce in quanto creature, l’umiltà è il segno della polvere da cui siamo stati tratti. Dio riesce, con delle cose semplici, a fare meraviglie, per questo il salmistra, stupito oltre misura nell’osservare in sé stesso l’opera di Dio, esclama: “Mi ha fatto come un prodigio, sono stupende le tue opere”.
Dio pone il segno della sua potenza nella nostra fragilità. L’alito di vita che Egli soffia nella polvere che Egli ha plasmato è la partecipazione alla sua stessa vita. Noi viviamo per il soffio che Dio ci ha donato. Per questo l’autore ispirato nota “Se togli loro il respiro, muoiono e ritornano nella polvere, mandi il tuo Spirito sono creati e rinnovi la faccia della terra”. Ciò che Paolo dirà in riferimento alla grazia di Dio – “Noi conteniamo questa ricchezza in vasi di creata, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi” – possiamo applicarla anche all’opera della creazione. In noi portiamo la potenza di Dio, la sua vita che è amore e donazione. Egli ci riempie di amore, interiormente ci sostiene con la sua forza ed è per Lui che siamo vivi, capaci di aprirci alla relazione e di intessere rapporti di amicizia e di reciproco arricchimento. Esteriormente Dio ci plasma, interiormente ci riempie del suo alito di vita. È questo il dono che Dio ci concede. Siamo un dono per noi stessi e dobbiamo godere della nostra corporeità, come anche del mondo interiore che ci costituisce. Tutto in noi è opera di Dio, tutto è segno della sua misericordia, partecipazione misteriosa alla sua vita. Spesso non ci accorgiamo che siamo un dono per noi stessi e per chi ci sta accanto come essi sono un dono per se stessi e per noi. Siamo chiamati a custodire il nostro corpo ed il corpo dell’altro come tempio di Dio ed il nostro cuore come sacrario della sua potenza che ci costituisce come essere viventi.
La meditazione del racconto della creazione dell’uomo ci insegna ad evitare due eccessi: il primo è quello di credere che non valiamo nulla, che le nostre debolezze ci determinano, i limiti ci sovrastano e per noi non c’è scampo alla tristezza e al grigiore di una vita, scandita dall’imperfezione. Dall’altro lato, c’è una situazione egualmente pericolosa, credere che noi siamo impastati solo di grazia e che la nostra è una natura perfetta. Lettura eccessivamente positiva della vita, questa visione ci conduce a misconoscere la realtà del male presente in noi e nel mondo, vedendo tutto come bene, senza aprire gli occhi su quanto l’esperienza ci insegna. È necessario vivere, secondo quel sano realismo che ci viene dalla Parola di Dio: siamo impastati di terra e di Cielo, abbiamo nella nostra fragile costituzione il Soffio eterno ed onnipotente di Dio. Non siamo solo terra, come gli animali, e neppure solo spirito, come gli angeli, ed è questa la nostra bellezza e specificità – spirito incarnato e carne animata – la potenzialità da sfruttare, le energie da mettere a frutto. Proprio perché siamo fatti di elementi complementari – polvere del suolo e soffio vitale di Dio – siamo chiamati ad armonizzare le realtà contrarie e a vivere nelle relazioni tra noi quella complementarietà arricchente che è iscritta nella nostra stessa natura di creature. Di Dio abbiamo la forza vitale e delle realtà create la fragile costituzione, ma dobbiamo metterci seriamente in gioco, evitando gli spiritualismi disincarnati e, al tempo stesso, la concretezza ad oltranza che tutto livella. È in questa non semplice armonia dei contrai che siamo chiamati a vivere la nostra vita, guardando a Gesù, perché è Lui il vero maestro, di una vita vissuta nella gioia. Se riuscissimo a far crescere il bene in noi e tra noi, vigilando e custodendo le nostre debolezze, vedendole non come un male, ma come una possibilità bella di complementarietà, nella ricerca di quell’armonia, che è il segno della presenza e dell’azione di Dio in noi. Accogliersi così come siamo e mettere a frutto il dono che siamo: è questo il segreto che l’autore ispirato vuol donarci, evitando tristezza e facili illusioni, con i piedi ben piantati per terra ed il volto fisso in cielo.
Vivere nello stupore e nella meraviglia è ciò che il Signore ci chiede, accoglierci nella fragile costituzione nostra che contiene misteriosamente l’alito di Dio è quanto dobbiamo vivere. Tutto è segno dell’azione e della presenza di Dio. La famiglia è il luogo dove vengo accolto per quello che sono ed in cui accolgo l’altro senza pretese, dove custodisco la debolezza e la fragilità costitutiva delle persone che amo e che, a loro volta, assumono i miei limiti come possibilità per vivere la sfida della relazione. Il limite e la debolezza, la fragilità e la precarietà è un potenziale di relazione, ma purtroppo non ci accorgiamo di questo. Accogliere la propria e l’altrui debolezza è ma di quest’arte dobbiamo essere apprendisti, alla scuola della Scrittura, guardando a Gesù che ha voluto farsi uomo come noi, prendendo tutto di noi, eccetto il peccato che non è parte della natura umana. Vedere nella nostra debolezza la forza di Dio è un’esperienza da fare. Siamo solitamente portati e chiedere al Signore di liberarci da tutto ciò che è contrario ai nostri desideri e alle nostre attese. Vorremmo una vita perfetta, non soggetta a nessun cambiamento. Siamo essere finiti e limitati e non possiamo fare altro che accoglierci. Anche san Paolo si troverà a pregare per una situazione che, da spiacevole, riconoscerà alla fine come grazia e riceverà da Dio la chiave di volta della sua vita “la mia grazia si manifesta nella debolezza”. Dobbiamo comprendere che Dio abita e sostiene le nostre precarietà, Egli solo dona la forza del suo amore per non soccombere.
Bisogna sempre vegliare su se stessi
Come già notavamo, il breve racconto della creazione dell’uomo è legato ai primi sette versetti nel capitolo terzo di Genesi. Nell’orizzonte di una strutturale debolezza che è per l’uomo possibilità e proposta per vivere la comunione con Dio, si insinua il mistero del male. L’autore ci presenta la figura del serpente parlante, la più astuta di tutte le bestie, che inizia a dialogare con Eva. Siamo davanti ad un racconto sapienziale che ci descrive, per immagini, la situazione concreta dell’uomo. Si tratta di un riflesso non di ciò che è accaduto all’inizio della storia, ma di quanto avviene ogni giorno, soggetti alle prove del demonio che cerca in ogni modo di farci cadere nelle sue maglie, per allontanarci da Dio. Il testo biblico sembra descrivere la dinamica interiore sottesa ad ogni peccato personale e mostrare, all’interno della liturgia odierna dove il testo di Genesi è abbinata al brano delle tentazioni di Gesù nel deserto, come si combatta Satana e si esce dall’agone quaresimale irrobustiti interiormente dalla potenza dello Spirito di Dio.
Dalla lettura del nostro brano, comprendiamo bene la dinamica che il demonio attua in ogni tentazione. Quando Eva è sola, il serpente, la più astuta delle bestie – identificata con il demonio che seduce e tenta l’uomo – si presenta alla donna proprio durante l’assenza voluta di Adamo. La solitudine può essere uno stato di beatitudine e di comunione con Dio – si pensi all’intimità di Mosè con Dio e ancor di più, nei Vangeli, a Cristo, che nel silenzio, lontano dal chiasso della folla, si immerge nel dialogo con il Padre – ma, si è più facilmente esposti alla tentazione, quando il nostro cuore non è ben radicato nel Signore. Il serpente si avvicina alla donna e, utilizzando il suo desiderio naturale di relazione, riesce ad intavolare un dialogo con lei. Il demonio sa bene dove vuol arrivare – togliere dal cuore dell’uomo la certezza che Dio vuole il bene della sua creatura – e pone alla donna una domanda per mettere in dubbio il comando del Signore. La tecnica del Nemico è sempre la stessa, prende la parola di Dio e la cambia, strumentalizzandola ai suoi disegni perversi. In questo Satana è bravo nel vestire le tenebre di luce e nel far apparire la luce tenebra. «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino”?».Egli, bugiardo fin dal principio, conduce gradualmente Eva a puntare lo sguardo sull’albero della conoscenza del bene e del male e la donna non si accorge delle trame che il serpente sta tessendo a sua rovina.
È fondamentale custodire la propria solitudine, dal momento che in essa siamo più facilmente esposti alla insidie del Nemico. Questi, infatti, non sopporta la nostra amicizia con Dio e le tenta tutte, pur di allontanarci da Lui. Nella solitudine Satana, come prima cosa, spinge a dialogare con lui perché sa che, una volta abboccati al suo amo, non possiamo scappare. Con il demonio non si scende a patti, né si dialoga, credendo di poter ritrarsi in qualsiasi momento, perché siamo forti. Mai credere di poter combattere contro il Nemico a viso aperto da soli, perché egli è astuto, conosce le nostre debolezze e le volge a sua vittoria. Satana viene abbattuto solo dalla potenza di Dio e se Lui è in noi, a combattere sarà Lui. La vittoria è assicurata solo a chi è docile all’azione dello Spirito, al cuore che diviene pura recettività alla grazia. Alla scuola del serpente anche Eva inizia a dimenticare la Parola del Creatore e a tradire il suo progetto di amore, considerando i limiti imposti dalla propria creaturalità steccato per la realizzazione di quella che crede sia la vera sua gioia.
Satana ci tenta sul nostro delirio di onnipotenza ed è sotto i nostri occhi, con la guerra, dove questo possa condurci. Misconoscendo la nostra strutturale fragilità da vivere nell’amore, fa crescere in noi l’autostima al punto tale da desiderare di togliere Dio dall’orizzonte della nostra vita per essere noi dio di noi stessi e degli altri. Il Nemico gioca di fantasia, accende in noi il desiderio, ci mette sulla strada dell’appetibile, ma non ci dice le conseguenze delle nostre scelte sbagliate, i burroni che incontreremo, una volta caduti nella disobbedienza. Nella tentazione Satana fa credere che noi siamo in grado di fare tutto, capaci di essere signori della nostra vita, di sapere conoscere il bene ed il male, di sapercela cavare da soli. Il serpente non deve insistere più di tanto e, una volta accesa la fantasia, scompare, perché sa che la nostra mente ed il nostro cuore sono facilmente ammaliabili. La voce del tentatore alletta ed illude, ma i nostri occhi sono accecati dalla volontà assoluta di avere tutto ai nostri piedi. Appare troppa poca cosa essere con-creature insieme con ogni essere vivente, non basta ad Eva e ad Adamo vivere nell’armonia con Dio e con ogni vivente. Bisogna volere di più, sempre di più. È questo il desiderio titanico dell’uomo contemporaneo, mai pago delle proprie conquiste, nella sua corsa spasmodica di spodestare Dio e prendere il suo posto. Mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male indica proprio il voler decidere da sé ogni cosa, senza un riferimento certo, un orizzonte comune. Assolutizzare il proprio limite, credendolo criterio e norma di giudizio di ogni realtà è ciò che solletica la brama dell’uomo. Il frutto dell’albero appare “buono da mangiare, gradevole agli occhi, desiderabile per ottenere la saggezza”. I sensi, accesi nel fuoco della passione di possesso dalla voce del Nemico, non vedono più nulla, niente richiama la bontà di Dio, il suo desiderio di relazione, tutto è mezzo, non più segno del Signore, della sua bellezza e bontà, del suo ordine e della gioia che Egli vuol far nascere nel cuore delle sue creature. Dal concepimento del peccato nel cuore alla sua attuazione il passo è breve. Per questo Gesù insegna che è dal cuore che escono tutto ciò che rende impuro l’uomo.
Confrontandosi con l’esperienza di Adamo ed Eva, ci rendiamo conto che il peccato, ogni peccato, personale e sociale, è il triste traguardo di un cammino in discesa che comprende tutti i nostri sensi, dagli orecchi che odono, dal cuore che desidera, dalla mente che si lascia abitare da pensieri seminanti dal serpente, dagli occhi che vedono, annebbiati dell’illusione, il male, presentato dal serpente, come un bene ed il bene, proposto da Dio, come un male. Tutto l’uomo ricerca il bene oppure persegue ed attua il male. Per questo è importante vigilare su se stessi e stare attenti, perché il nemico non faccia breccia in noi e, se riesce a parlare, venga zittito, come fa Gesù, dalla potenza della Parola della Scrittura.
Nella povertà la via della gioia
Se la causa di ogni peccato – lo insegna Francesco di Assisi – è l’appropriazione, prendere quello che non ci appartiene, credere di poter fare ciò che si vuole, considerarsi migliori degli altri, la via di salvezza è la povertà creaturale come capacità di vivere il limite come possibilità di relazione. La voce del Nemico seduce ed illude e, una volta caduti, il demonio è pronto a rinfacciarci tutto e a ridere di noi. Dobbiamo seguire Gesù, fare spazio alla sua voce, affidarci all’abraccio del Padre, permettere che i nostri deserti, da Lui donati o da noi ricercati, siano vissuti nella potenza del suo Spirito che ci spinge a vivere sempre di lui. Che serve vivere di illusioni quando abbiamo Dio? “Colui che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?”. Dio è bene contento di comunicarci la potenza della sua divinità basta solo che metta la sua dimora in noi. Chiediamo la purificazione del cuore perché la grazia dello Spirito ponga in noi la sua abitazione, per gustare la compagnia di Dio ed essere certi che nulla e nessuno, illudendoci, potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù.