Commento al Vangelo di fra Vincenzo Ippolito ofm
XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) – 17 luglio 2022
Dal Vangelo secondo Luca (10,38-42)
Marta lo ospitò. Maria ha scelto la parte migliore.
In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».
La liturgia di questa domenica ci offre una sosta, come quella di Gesù, nella casa di Betania, (cf. Vangelo, Lc 10,38-42) per gustare la grazia dell’amicizia, che infonde in noi la forza di riprendere il cammino della vita. La Prima Lettura (cf. Gen 18,1-10), facendo da sfondo, ci dona di comprendere che Dio ci visita sempre e, sconvolgendo la nostra vita, ci chiede di aprirci alla sua novità e di tradurre l’intimo dialogo con Lui in volontà di camminare, fidandoci della sua promessa. Il Salmo Responsoriale (cfr. Sal 14) descrive l’uomo che fa del Signore la sua roccia. Le azioni che compie sono secondo giustizia e nulla è contrario al bene del fratello che si trova in angustia. La Seconda Lettura (Col 1,24-28) ci offre la viva testimonianza dell’Apostolo, che, visitato dalla grazia divina, è innestato nel mistero della Pasqua del Signore e così può rivelare il misterioso disegno della salvezza, che Dio apre a tutti gli uomini, attraverso l’annuncio della Chiesa. Il Signore sempre ci visita (Prima Lettura) e nel suo Figlio Gesù chiede di aprire non solo la porta della nostra casa, ma quella del cuore, perché è Lui solo la parte migliore (Vangelo) ed in Lui la nostra vita diventa annuncio di gioia e di salvezza.
In cammino dietro Gesù
Il brano evangelico, magistralmente incastonata tra la parabola del buon Samaritano (cf. Vangelo della scorsa Domenica, Lc 10,25-37) e la preghiera del Padre nostro (cf. Vangelo della prossima Domenica, Lc 11,1-13), rappresenta un momento di sosta nel viaggio di Gesù verso Gerusalemme (cf. Lc 9,54-19,28). C’è una meravigliosa alternanza nella vita del Nazareno, non solo Egli cammina con determinazione ed impegno verso il compimento della sua missione – Lui ha consapevolezza, ma non certo i suoi, che camminano senza sapere, seguendolo, incuranti di cosa la Città santa comporterà per loro! – ma talvolta si ferma, come al pozzo di Giacobbe (cf. Gv 4,6). Si tratta dell’avvicendamento del camminare e del fermarsi e sia l’uno che l’altro, come apprendiamo nei Vangeli, diviene tempo di salvezza. Scrive san Luca, introducendo il brano,“mentre erano in cammino”per poi aggiungere di seguito “Gesù entrò in un villaggio ed una donna di nome Marta lo ospitò” (v. 38).
Non lo ripeteremo mai abbastanza: la vita di ogni uomo è un cammino verso il compimento della propria missione, perché a tutti Dio Padre affida una specifica vocazione che, al pari dei discepoli, siamo chiamati a vivere insieme e a condividere senza chiuderci in noi stessi. La vita è un itinerario condiviso con la ferma volontà di sapere e voler procedere insieme alle persone che Dio pone compagni di cammino, sia nella coppia ed in famiglia, sia anche nella comunità. Si cammina e si deve camminare, fidandosi, affidandoci, consegnandosi, abbandonandosi a Dio che ha bene chiara la meta da raggiungere e alle persone che, condiscepoli con noi, talvolta comprendono più di noi la volontà del Maestro e riescono ad intuire prima verso dove siamo diretti. Fidarsi di Dio, fidandosi del proprio fratello, consegnarsi a Dio, consegnandosi all’altro: è questo il mistero della vita insieme, il segreto dell’amore che non si lascia scalfire dal passare degli anni, piegare dai venti contrari, contrastare dalle difficoltà che sorgono dall’esterno o, ancor peggio, dalla stanchezza del cuore e dal fiaccarsi delle forze. La famiglia, la comunità ecclesiale, la fraternità vissuta dai religiosi è proprio questo camminare insieme e tutto quello che viviamo, sentiamo, pensiamo deve essere fatto mentre siamo in cammino, ovvero nello stare insieme, l’uno accanto all’altro. Tutto quello che facciamo deve innestarsi nella comunione con l’altro, perché il cammino è il terreno nel quale deve crescere e consolidarsi ogni realtà vissuta e scelta con amore.
Ma non si può solo camminare, è necessario anche fermarsi e riprendere forza. Gesù dimostra di saper leggere questo naturale bisogno nel cuore dei suoi, come quando rientrano dalla missione (cf. Lc 9,10), ma sa anche che la sua umanità, assunta nel grembo di Maria, ha bisogno di pace, di serenità e di silenzio. Il Maestro ricerca il ristoro dell’anima sua nella preghiera e nella relazione con il Padre, come anche entrando lì dove la vita degli uomini brulica, perché è la relazione personale che dona al cuore dell’uomo la pace. Creato ad immagine di un Dio che è armonia di relazioni tra persone diverse, pur se uguali, ogni uomo realizza se stesso nel rapporto con l’Altro e con l’altro. La vita solo in questo si può dire armonica, quando i due piani dell’esistenza, quello verticale con Dio ed orizzontale con gli altri, procedono di pari passo. È quanto capita con la croce di Cristo, il palo verticale regge quello orizzontale, ovvero l’amore filiale di obbedienza al Padre sostiene quello orizzontale dell’oblatività per gli uomini. È inutili programmarsi periodi di ferie, vacanze da sogno se non si cerca di costruire relazioni serene e profonde con gli altri, perché non sono i luoghi che ci danno ristoro, ma le persone che ci sono accanto e che condividono la nostra vita. Possiamo andare dove crediamo più opportuno, ma se il cuore è in continuo subbuglio, non esiste la pace e non si crea la quiete. Mens sana in corporesano, (il corpo riposa, quando la mente è quieta) insegnano i Latini e Gesù a Betania dimostra il pregio dell’amicizia e la gioia della familiarità con le persone che ci stimano e ci vogliono bene di vero cuore. Fattosi uomo, il Figlio di Dio accetta la natura umana strutturalmente scandita dal bisogno dell’altro, dalla dipendenza dall’altro e vive riconciliato con la sua umanità, non ha paura di farsi amare e di amare perché sa bene che nella sua umanità il Padre ha posto la sua compiacenza e manifesta la potenza della sua misericordia.
La relazione come possibilità di accoglienza
Gesù, così lo presenta l’Evangelista, entra in un villaggio ed è accolto da una donna. A ben leggere il testo, si tratta di cerchi concentrici – entrare nel villaggio per poi essere accolto – che mostrano come il Signore non si impone nella nostra vita, ma entra progressivamente nell’orizzonte della nostra esistenza, se invitato, voluto, scelto. È questo che rende sane le relazioni che il Nazareno vive. Egli si ferma alla porta dell’altro come possibilità necessaria, perché è Dio, della stessa sostanza del Padre – ecco dove la nostra relazione con Lui è necessaria – ma vuole che lo si scelga, che si risponda alla sua chiamata – ecco la possibilità della relazione con Lui che va accolta – così da divenire coscienti di quello che Cristo è e di ciò che è capace di fare per donare vita e salvezza. Il Maestro entra nel villaggio, ma è Marta che gli fa spazio nella casa, lo ospita, lo accoglie. Questa dinamica è vera in ogni relazione. Io entro nell’orizzonte vitale dell’altro, ma resterò sempre nella zona franca della possibilità e della neutralità, se l’altro non mi invita ad entrare, accogliendomi. Io accolgo l’altro se entra nella mia vita, posso invitarlo a condividere ciò che è mio, se egli lo vuole, lo sceglie, lo desidera con il cuore. Ogni relazione è una possibilità al tempo stesso offerta ed accolta, voluta e cercata, attesa e perseguita. Per varcare la casa del cuore devo essere accolto e nella relazione non è sempre facile questo, perché ci sono dei momenti in cui vengo avvertito come nemico o avverto la persona che mi è accanto come totalmente estranea a ciò che io vivo. Proprio in quei tempi siamo chiamati a sperimentare l’amore paziente e a sapere attendere alla porta del cuore dell’altro, come l’altro attende che la porta del cuore nostro si apra.
Ci rendiamo conto subito come san Luca presenti una dinamica di relazioni a domino. L’accoglienza che Marta riserva per il Signore dona anche alla sorella Maria la possibilità dell’incontro con il Maestro. Come nel caso di Levi Matteo la cui conversione permette ad altri pubblicani di sedere a mensa con il Maestro (cf. Lc 5,27-32), così anche a Betania Maria entra nel discepolato autentico, nell’ascolto docile e continuo perché sua sorella è l’artefice dell’accogliere Cristo e del fare spazio al Signore. Maria si serve delle capacità di Marta e mentre questa non giunge a far fiorire la prima accoglienza offerta al Signore, Maria sfrutta al meglio la possibilità che gli è stata offerta con la visita inaspettata dell’Amico. Nelle due sorelle vediamo come l’Evangelista abbia posto, quasi personificandole, l’instabilità e la perseveranza. Marta ospita sì Gesù, ma poi quasi lo dimentica, inizia bene e si perde per strada, accoglie con gioia la Parola, ma poi gli affanni della vita fanno seccare il seme, perché manca la perseveranza. Quante volte questo capita anche in noi, nella relazione non sappiamo o non vogliamo investire, iniziamo con gioia, ma quando il cammino si fa pesante, gettiamo la spugna! È quello che capita anche nella preghiera, non sempre riusciamo ad essere fedeli e perseverante, la prova ci sfianca, la difficoltà ci prostra, il tempo ci logora. Si può ospitare Gesù e poi dimenticarlo, metterlo all’angolo, come se bastasse l’amore dell’inizio e non la fedeltà del quotidiano impegno. Ci si può accostare ai sacramenti e poi non gustarne la bellezza, gioirne in maniera prolungata dell’intimità offerta, mettendo a frutto la grazia che ci è stata usata. La parola può seccare in noi per la mancanza di radici e l’incostanza (cf. Mt 13,20) – Luca parla della poca umidità delle pietre (cf. Lc 8,6) – ovvero per il limitato impegno, la perseveranza dell’amore, la fedeltà dell’offerta. Allora Gesù diventa poco più di un oggetto, la sua presenza non incide perché la nostra apatia lo rende impotente, incapace di operare nella vita di chi gli apre la casa, ma non il cuore. è la formalità che svuota le relazioni e non le rende incisive.
L’altra sorella, Maria, invece, si presenta come la personificazione dell’amore perseverante, come la Maddalena al sepolcro visse la fedeltà dell’amore, nel crogiolo della purificazione del desiderio dell’Amato (cf. Gv 20,11). La donna si siede come discepola ai piedi del Maestro e lo ascolta. È come se Maria diventasse con la sua stessa persona ascolto, tutto orecchio per Colui che è la Parola. Non parla, perché non ha bisogno di manifestare nulla, c’è il Signore, il Maestro, lo Sposo, l’Amico, l’Ospite a lungo atteso. Il testo originale greco, attraverso l’uso dell’imperfetto – ascoltava v. 39) – mostra che l’azione è continua, perseverante, ininterrotta. Ecco perché possiamo dire che la donna non solo ascolta, ma si fa ascolto. Il suo cuore è la cavità che la ricchezza di Dio riempie, il vaso di alabastro dove si riversa il balsamo profumato del Diletto, il talamo nuziale dove si consumano le mistiche nozze della Parola dello Sposo con l’accoglienza della sua sposa. Nessuno esiste tra il Maestro e la discepola, nessuno può e deve rompere l’idillio dell’intimità dell’ascolto e della profondità dello scambio. Gesù è il Signore nella vita di Maria proprio nella dispersione dell’esistenza di Marta che gironzola per casa, presa dalle mille faccende.
Siamo chiamati ad essere come Maria, dediti all’ascolto prolungato del Signore nelle nostre famiglie, perché non basta partecipare alla Mensa della Parola e dell’Eucaristia solo la domenica, è necessario nutrirsi ogni giorno del Vangelo – possibilmente anche dell’Eucaristia! – perché senza Cristo Parola e Pane non possiamo camminare, la vita non ha il profumo di Dio, la sua gioia non alberga nel nostro cuore. Dobbiamo ogni giorno o per lo meno più volte durante la settimana a livello familiare, vivere cenacoli di preghiera, momenti di ascolto e di interiorizzazione del Vangelo, dove la Parola è spezzata dai genitori ed insieme ai figli si prende un dovere comune – dovremmo dire piacere, per meglio sottolineare la bellezza della relazione con Cristo – per la cui realizzazione ci si aiuta a vicenda. Stare davanti a Gesù è un impegno che tutti siamo chiamati a vivere, ecco perché se non deve mancare in una famiglia cristiana l’ascolto docile del Signore, lo stesso deve dirsi anche per l’adorazione eucaristica che è la scuola della misericordia, la cattedra dell’umiltà, la sorgente dove si apprende il silenzio e si unisce il proprio “Eccomi” a quello di Cristo per la gloria del Padre. È necessario educarsi ed educare le nuove generazione alla statio eucaristica oltre che alla statio della Parola perché nella vita frenetica della nostra società, solo Gesù può donare la pace e la serenità del cuore.
Mai disperdersi!
Ciò che più stupisce nel brano di san Luca è la capacitò di Maria di non distrarsi e di non farsi distrarre. Ascolta mentre intorno a sé c’è il ronzare della sorella “tutta presa dalle molte faccende” (v. 40). È la malattia del martalismo – così l’ha definita papa Francesco nel Discorso alla Curia Romana (22 dicembre 2014) – “ossia di coloro che si immergono nel lavoro, trascurando, inevitabilmente, «la parte migliore»: il sedersi sotto i piedi di Gesù”. Maria no, non conosce dispersione la sua mente, il suo cuore è totalmente orientato verso Gesù e si bea unicamente di Lui. Ma la presenza di Marta è fastidiosa, non solo perché non vuole prendersi cura del Signore, ma perché pretende che anche Maria faccia ciò che lei sta facendo, allontanarsi dal Maestro e occuparsi delle cose secondarie. Non si tratta solo della tentazione dell’efficientismo nella quale cade, ma anche della tentazione ancor più grave di impedire che la sorella incontri il Maestro e vive un rapporto preferenziale con Lui. Si fa avanti (v. 40), con un gesto quasi di sfida, ma non si rivolge a Maria nel desiderio pretestuoso di convincerla, ma è al Maestro che parla, rimproverando la sua incapacità a prendersi cura di lei. Gelosia, invidia, superbia? Il cuore di Marta è come il vaso dei molti vizi che albergano lì dove non abita il Signore. Quale ardire è il suo, rimproverare il Maestro, facendo quasi intendere che stanno perdendo tempo Lui e Maria, in quel dialogo che a lei appare infruttuoso ed inutile. L’espressione “Non ti importa” è quella usata anche dai discepoli nella tempestasedata (cf. Mc 4,38), quando credano che il Maestro non abbia a cuore la loro sorte e che, a poppa, sul cuscino, dorma. Presumere di poter giudicare Dio è uno dei peccati più gravi – leggendo il libro di Giobbe ci si rende conto di questo – perché significa considerarsi al di sopra di Lui, capaci di impartire lezioni su come essere Dio e Signore. Siamo dinanzi ad un formalismo evidentissimo. Marta prima chiama GesùSignore, nel gesto proprio di chi professa il Maestro quale centro della propria vita e poi biasima il suo comportamento, con l’unico intento di screditare la sorella ai suoi occhi. Sentirsi superiori agli altri è il primo scalino verso il regno del Padre che sta laggiù – così definisca Satana, Berlicche, un anziano diavolo che istruisce suo nipote Malacoda nel bel libro di Lewis Le Lettere di Berliccche – ed il passo successivo è quello di criticare e screditare l’operato degli altri, le loro intenzioni, ergendosi come giudici. Ecco dove nasce la pretesa di Marta nell’imporre a Gesù il da fare, il comando,infatti, è perentorio “Dille che mi aiuti” (v. 40). Dio deve forse obbedire alle pretese dell’uomo?
È bello notare nel brano evangelico l’atteggiamento di Maria. La sorella, pur da raggiungere il suo fine, ha strumentalizzato Gesù, volendola colpire in maniera indiretta, con l’avallo del suo Ospite. È un tiro mancino che tra sorelle fa male e che non rientra nelle dinamiche familiari o, per meglio dire, non dovrebbe rientrare. Maria, dal canto suo, non risponde perché non vuole distogliere il suo sguardo da Gesù, neppure si lascia bruciare interiormente dall’ira e dal risentimento. Noi al suo posto, avrebbe sbottato in un sonoro Come ti permetti! per poi iniziare una interminabile diatriba alla quale Gesù sarebbe stato costretto ad assistere. Maria, invece, preferisce imboccare la strada del silenzio e dell’abbandono in Dio. Nella sua vita c’è Gesù e cosa può desiderare di più? Maria deve lasciare agire il suo Signore perché è questa l’occasione di testimoniare il primato dell’ascolto che ha scandito la sua statio ai piedi del Maestro. Non può parlare perché cosa può dire dinanzi a Gesù che è la Parola fatta carne? Deve essere il Maestro a difendere la sua discepola. Se nella sua vita c’è il Signore, è Lui e Lui che deve prendere le difese della sua serva. Perché difendersi, parlare se c’è Lui? Perché credere, come i discepoli sul lago, che Egli non si prenda cura di noi?
Lasciarsi difendere da Gesù appare la cosa più difficile per noi, ma è l’unica strada per sperimentare l’amore e la salvezza che vengono da Dio. Dinanzi all’altro che ci accusa, che continuamente ci mortifica, il silenzio e la sopportazione è la via maestra della santità, perché l’umiltà è la virtù dei forti, di coloro che rimettono a Dio la propria causa e attendono con pazienza il rivelarsi della salvezza che viene da Lui solo. È vero, tra noi le dinamiche sbagliate della casa di Betania dovrebbero essere bandite, ma in ciascuno regnano gli stessi semi cattivi che infestano il cuore e la vita di Marta e solo Gesù ci può redarguire e donarci quell’amore che bonifica la nostra interiorità e ci spinge a decentrarci. Nella prova, Maria cresce nella fiducia in Gesù, passa dalla parola ascoltata alla parola vissuta, dalla ruminatio all’actio, dall’interiorizzazione alla vita, in quella dinamica che fa attecchire e mettere radici nel cuore all’unica Parola che dona salvezza, quella di Gesù, anzi alla Parola che è Gesù stesso. Fare spazio alla parola di Cristo e lasciare che la nostra vita sia orientata a Lui, come gli occhi dei servi alla mano della sua padrona (cf. Sal 123,2), questo deve essere il nostro quotidiano impegno. Se continueremo a ciarlare, impediremo a Gesù di parlare e di agire, di difenderci e di essere Signore della nostra storia.
La parte migliore è per tutti
Gesù interviene e con dolcezza riprende Marta, desidera che viva senza preoccupazioni – “Non preoccupatevi per la vostra vita” dirà il Maestro in Lc 12,22 – e che la sua esistenza sia pacificata nella volontà di rimettere tutto nelle mani di Dio. Si tratta non solo di fidarsi della Provvidenza, ma di vivere una relazione preferenziale di amore con Cristo che dona senso a tutte le cose della vita e che le unifica, vincendo la dispersione che sempre alberga nel cuore dell’uomo. Solo Cristo, infatti, può ricondurci dalle nostre fughe, donandoci quel centro di gravità permanente che dona stabilità e gioia alla nostra esistenza. Marta deve comprendere che “Il Signore è mia parte di eredità e mio calice” (Sal 15,5) e che scegliere la parte migliore, ovvero Dio e la sua Parola come Maria, conduce il discepolo a non temere nulla, sperimentando in Cristo la pace. L’evangelista Luca, infatti, collocando questo brano tra la parabola del buon Smaritano e l’insegnamento sulla preghiera, desidera che nella vita della sua comunità tutto venga fatto nell’armonia dell’amore, come riverbero della relazione preferenziale con Cristo Signore perché la carità è autentica e fruttuosa, quando allontana l’efficientismo e trae motivo di impegno dalla compassione del suo cuore del Signore ai cui piedi noi rimaniamo in ascolto e adorazione.