II Domenica di Quaresima (Anno C) – 13 marzo 2022
La vita cristiana è un po’ come giocare una partita di calcio. Il paragone può apparire poco felice, ma, a ben pensarci, è calzante. In campo ci sono i giocatori, ma, a tirare le fila della partita, anche se non sembra, è l’allenatore. Uomo dell’ombra, lui guarda il gioco dalla panchina, pensa e pondera le mosse degli avversari, ipotizza come contrastarle e, al momento opportuno, dona indicazioni ai suoi, gesticola con forza ed impone il ritmo della corsa, ricordando tattiche e piani per vincere. Non che sia infallibile, ma l’esperienza ha reso la sua mente come il tempo ed il lavoro le mani di un pescatore, veloci nella presa, ben addestrate nel misurarsi con la forza del mare altrui. Anche il discepolo di Gesù è chiamato ad avere sguardo attento, oltre che gambe scattanti. Nell’arena della vita, sul campo del quotidiano affanno, deve guardare a Cristo, è Lui il suo allenatore, Lui il suo coach, non può perderlo di vista. Il campo gli è nemico, ma basta uno sguardo del Maestro per riprendere coraggio; la corsa può divenire affannosa, ma se la voce del Signore incalza, si è capaci fino all’ultimo minuto di lottare senza posa per riconquistare il pallone e fare gol. È Gesù che indicai piani da attuare, le tattiche da applicare, è Lui che mostra, con un gesto, il da farsi e ci sprona a non gettare la spugna perché la sua forza è in noi. Anche Gesù, a sua volta,è stato prima un ottimo giocatore e il suo allenatore, il Padre, ha ribaltato il risultato fallimentare della sua croce – fallimentare per chi? Per la mentalità umana? – nella vittoria schiacciante sul peccato e sulla morte.
Il mistero della trasfigurazione è come il tempo dell’allenamento per un atleta, serve a rubare l’arte del gioco, con lo sguardo, per apprendere, con passione e sacrificio, la padronanza delle regole, la dimestichezza dei movimenti, le tecniche del gioco, il dominio del proprio corpo. Sul monte, guardando il Maestro i discepoli sono chiamati a “rubare” il mestiere a Gesù, imparando a dialogare con la Scrittura, a ritagliarsi momenti di silenzio, chiedere al Padre la sua volontà, consegnarsi al suo abbraccio, lasciandosi misteriosamente guidare dal suo Spirito. Guardando si impara, perché l’occhio attento imprime nel cuore ciò che la mani sono chiamate un giorno a fare, con dimestichezza crescente. Con l’occhio fisso su Cristo, l’animo si riempie del suo amore e sperimenta in sé la potenza della vita, la grazia dello spirito che ha sostenuto il Maestro passa al discepolo, che deve continuare nel mondo la sua missione. Difatti, il segreto della vita di Gesù è l’arrendevolezza allo Spirito Santo. È Lui la forza che lo sostiene nella corsa, l’energia che corrobora il suo coraggio, sua è l’ispirazione che illumina la mente, la voce che interiormente lo abita e lo spinge risoluto, pur tra le prove, a camminare nella luce del bene. Lo Spirito ha sorretto Gesù dal battesimo alla croce e lo ha risvegliato dal sonno della morte. Gesù vive nello Spirito, ama nello Spirito, parla nello Spirito, guarda nello Spirito, cammina nello Spirito. Tutto nella vita di Cristo è sotto la potenza dello Spirito-amore e non può accadere lo stesso anche in noi, amico mio?
Nella vita del Santo di Assisi c’è un racconto che mostra tutta la forza dell’imitazione, accompagnata dalla volontà di tenere fisso lo sguardo e attento il cuore a ciò che si ama. “Mentre Francesco passava accanto ad un borgo nelle vicinanze di Assisi– a scrivere è fra Tommaso da Celano, primo biografo del Santo – gli andò incontro un certo Giovanni, uomo semplicissimo, che stava arando un campo e gli disse: «Voglio che tu mi faccia frate, perché da molto tempo desidero servire Dio» … [Francesco] lo condusse con sé, e dopo averlo vestito dell’abito religioso, lo prese come compagno particolare in grazia della sua semplicità. Quando Francesco stava in qualche luogo a meditare, il semplice Giovanni ripeteva in sé e imitava subito tutti i gesti o i movimenti che egli faceva. Se sputava, sputava; se tossiva, tossiva; univa i sospiri ai sospiri ed il pianto al pianto. Se il Santo alzava le mani al cielo, le alzava egli pure, fissandolo con diligenza come un modello e facendo sua ogni mossa. Il Santo se ne accorse e gli chiese una volta perché facesse così. «Ho promesso – rispose – di fare tutto ciò che fai tu. Sarebbe pericoloso per me trascurare ogni cosa»(2Cel 190: FF 776).
Niente male fare nostra la semplicità di frate Giovanni, stando sul Tabor, con Cristo. Lo Spirito ci renderà come Lui, se il nostro sguardo sarà fisso su di Lui, senza distrazioni. fra Vincenzo Ippolito ofm